Storie dal Progetto Home: l’esperienza di Antonella che non sapeva della Casa

Casa Trenta Ore per la Vita

Antonella è la madre di Mario, un bambino di quasi sei anni al quale, circa 5 mesi fa, hanno diagnosticato un tumore del sangue. Nello specifico, Mario ha una leucemia linfoblastica di tipo B (B-LLA), una delle forme di leucemia acuta più comune fra i bambini: circa l’80% delle diagnosi in età pediatrica, infatti, può essere ricondotto a questo tipo di leucemia. Mario, sta seguendo un percorso di cura presso l’Ospedale “Santo Spirito” di Pescara e ora alloggia, insieme alla madre, alle sorelle e al padre a due passi dalla struttura ospedaliera, presso la Casa Trenta Ore per la Vita di Pescara gestita dall’associazione Agbe. Antonella ha voluto condividere con noi la sua esperienza presso la casa Trenta Ore, perché “non sapeva che potessero esistere realtà così belle, in situazioni così drammatiche”.

Da quanto tempo alloggiate nella Casa Trenta Ore per la Vita di Pescara?

«Siamo nella Casa alloggio dal 14 febbraio. Siamo stati ricoverati in ospedale con una diagnosi di leucemia linfoblastica di tipo b e, iniziato il percorso terapeutico presso l’ospedale, ci è stato subito proposto dalla psicologa – e dai dottori – di alloggiare presso la Casa di Trenta Ore per la Vita. Evitando, in questo modo, di fare troppi viaggi casa-ospedale, che seppur non lontano da Pescara, Campobasso non è proprio dietro l’angolo.»

Conosceva la Casa Trenta Ore per la Vita?

«Sinceramente? Quando mi hanno fatto questa proposta, all’ospedale, sono caduta dalle nuvole. Non sapevo proprio di cosa mi stessero parlando. Ho però accettato subito, perché potermi fermare, e avere la possibilità di abitare a pochi passi dall’ospedale mi sembrava un’opportunità incredibile.»

Com’è stato l’ingresso nella casa?

«Irreale, perché non mi sembrava possibile potesse esistere una realtà così. Fin da subito mi sono trovata dentro una famiglia. Una vera famiglia. Da ciascun membro che ho incontrato nella Casa famiglia ho ricevuto un supporto non indifferente. Io sono uscita da casa mia per andare a fare un semplice controllo medico, e invece mi sono ritrovata a Pescara senza nemmeno il tempo di salutare gli altri due miei figli e mio marito. In pratica ho lasciato casa mia in fretta e furia e il fatto di aver trovato loro nella Casa Trenta Ore che mi hanno fatto sentire subito protetta, mi ha fatto sentire come in famiglia.»

Quando parla di loro parla dei membri dell’associazione Agbe?

«Sì, loro mi hanno tutelato in una maniera non indifferente. La malattia non è una cosa semplice, questa malattia in particolare quando colpisce un figlio ti lacera l’anima. Noi genitori per affrontare questa malattia abbiamo bisogno di sostegno perché ci ritroviamo da soli, e sapere che qui sono presenti persone, sia dell’associazione che gli altri genitori presenti, che hanno vissuto la stessa esperienza mi dà un enorme sollievo. Ogni membro di questa associazione è per me fondamentale.»

È riuscita a tornare nella sua casa in questo periodo?

«Veramente poco. Anzi, dirò che dal 14 febbraio, se sono tornata a casa due volte è anche troppo. Qui non manca nulla, è tutto perfettamente organizzato. Per esempio le lavatrici, quando entri ed esci dall’ospedale i cambi diventano una cosa difficoltosa, e invece qui si fanno in maniera perfettamente pianificata. Tutto qui funziona alla perfezione. Perché qui ciascuno ce la mette tutta in modo che noi ospiti possiamo stare bene.»

Il piccolo Mario come ha preso questa nuova sistemazione?

«Usciti dall’ospedale non sapevo come dirgli che non saremmo tornati a casa. Ero preoccupata su come avrebbe potuto reagire alla notizia. Così ho deciso di dirgli una piccola bugia, a fin di bene. Gli ho detto che avevo preso una casa nuova qui a Pescara vicino all’ospedale. Quando siamo arrivati nella Casa famiglia lui si è sentito subito a proprio agio. Come ho detto è tutto perfettamente organizzato, c’è la stanza dei giochi dove lui ha potuto svagarsi immediatamente, e poi ha trovato una famiglia. Io stessa sono meravigliata da questa grande dedizione che c’è nel dettaglio, mica tutti gli ospedali hanno un luogo del genere.»

La permanenza nella casa si sta concludendo. Come si sente?

«Quasi mi dispiace andarmene, a volte penso “come faremo ad andare via?”. Ovviamente sono contenta di tornare a casa mia, ma allo stesso tempo sono anche profondamente dispiaciuta di lasciare questa nuova famiglia che mi ha accolto.  Sono anche contenta di aver avuto l’opportunità di conoscere questa Casa alloggio, e io voglio dirlo a tutti che per me è stata una grazia, perché io non sarei riuscita a stare lontana da mio figlio quindi questa cosa mi ha salvato la vita. Sapere che quando tu cadi loro sono lì, pronti a rialzarti e ti dicono non ti preoccupare e sapere che le loro parole sono sincere perché anche loro hanno vissuto la stessa cosa è una cosa che mi commuove. E non lo dico tanto per dire.»

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