Casa famiglia Pescara: il ritorno alla normalità post-pandemia

La Casa Famiglia di Pescara è stata inaugurata nel 2009 e, da allora, ha avuto oltre 40mila presenze. La struttura ha sempre registrato il pieno, fatti salvi i due anni dell’emergenza Covid, e per tale motivo si è scelto di costruire un nuovo edificio. Le famiglie che la Casa Trenta Ore per la Vita di Pescara ospita, sono quelle che hanno la necessità di vivere nei pressi dei centri di cura per il cancro infantile. Con l’inaugurazione della nuova casa, sarà possibile ampliare l’accoglienza.

Attualmente, la Casa di Pescara ha ripreso ad accoglier le famiglie a pieno regime. Infatti nel 2020 le presenze sono state 2.943, nel 2021 sono scese a 974 per via delle restrizioni Covid. Mentre i primi cinque mesi del 2022 hanno già visto la registrazione di 1708 presenze.

Da dove provengono?

Molte di queste provengono dalle province interne dell’Abruzzo. «O dall’area del Chietino e del Teramano» specifica Daniela Dell’Aquila, consigliere di Agbe, l’associazione di volontariato che gestisce la struttura, nonché responsabile della casa famiglia. Ma non mancano famiglie provenienti da altre regioni italiane, o dall’estero. «Abbiamo ospitato famiglie provenienti dalla Francia, dalla Romania, dall’Angola dall’Argentina e dall’Iraq, e con alcuni paesi, come Maldive e Albania abbiamo avviato progetti destinati ai ragazzi trapiantati». Altre famiglie ospiti della struttura erano originarie della Basilicata, della Puglia, dell’Emilia-Romagna e delle Marche.  A volte succede che le famiglie si trovino in vacanza nella costa pescarese e ricevano la diagnosi.  Impossibilitate a rientrare nella propria regione, sono costrette a trovare una sistemazione nei pressi dell’ospedale.

Da sei mesi fino a due anni

La permanenza nella Casa può variare e andare dai 6 mesi fino a raggiungere l’anno, ma questo dipende dal tipo di terapia seguita. «C’è chi ha una permanenza più breve – continua Dell’Aquila – perché, per esempio, la leucemia linfoblastica b è una malattia a basso rischio. Quindi, una volta che il bambino entra in mantenimento può tornare tranquillamente a casa. Ci sono poi i bambini ad alto rischio, che devono restare sotto stretto controllo da parte dei medici e quindi devono rimanere in zona ospedale per più tempo. Alcune di queste famiglie, per questo motivo, rimangono qui anche due anni. Specialmente quelle provenienti dall’estero, le quali non possono rientrare a casa fino a quando il percorso non giunge a termine».

Come a casa… 

Tra gli obiettivi della Casa Trenta Ore, c’è quello di ricreare un ambiente familiare, e sereno, per coloro che necessitano dell’ospitalità della casa famiglia. Il prezioso lavoro degli operatori di Agbe risiede nell’accogliere famiglie che si trovano in una delicata condizione emotiva, e di prendersi cura, oltre che dei bambini in terapia, anche dei parenti che seguono i piccoli pazienti in trasferta. Victoria Marcucci, psicologa della struttura e già volontaria dal 2011, ci racconta che i primi ad arrivare in casa sono i papà mentre madre e figlio, in trattamento, sono in ospedale. «Arrivano che sono o disperati o arrabbiati, e in entrambi i casi qui trovano un contenitore della loro rabbia, del loro dispiacere, della loro impotenza davanti alla malattia. E anche della loro mancata protezione verso il nucleo familiare.»

…anzi più che a casa

All’interno della struttura gli operatori sono presenti dalle 9 di mattina fino alle 8 di sera, e per la dottoressa Marcucci questa è la chiave di tutto: «esserci! Sia che si fulmini una lampadina, sia che qualcuno abbia bisogno di andare in farmacia. Qualsiasi sia la problematica, qui troverai sempre qualcuno che ti viene in aiuto. Sei su una zattera che naufraga nella tempesta del mare, ma hai sempre un faro che ti indica la strada. Volontarie, tirocinanti o membri del direttivo ci sono ogni giorno, e sono una grande base sicura per chiunque si interfacci con noi. Che venga dall’Ucraina o dal Molise o da chissà dove.» Ad esempio, in questo momento sono presenti nella Casa Trenta Ore due famiglie provenienti proprio dall’Ucraina, che non parlano altro che la loro lingua. Grazie ai supporti tecnologici, gli operatori hanno potuto stabilire una comunicazione e instaurare una relazione anche con loro; doppiamente traumatizzate, dalla malattia e dalla guerra.

Condivisione: una potente terapia

Poter condividere la propria esperienza è una terapia potentissima. «Il fatto che anche noi membri del direttivo abbiamo vissuto in prima persona la malattia – aggiunge Daniela dell’Aquila – riusciamo a gestire bene la situazione. Victoria, da psicologa, riesce entrare in empatia in un modo. Noi, come genitori che abbiamo avuto lo stesso trascorso, diventiamo un ulteriore supporto. Le famiglie si appoggiano a noi per capire come andare avanti e come riuscire a vivere il periodo in maniera serena. Sapere che c’è qualcuno che ha vissuto la stessa cosa in prima persona aiuta ad andare avanti e a dire:  “ce la posso fare anche io nonostante questo momento mi sento persa.”»

Spesso ritornano, ma per portare buone notizie

Il legame che nasce da questa esperienza va oltre la durata della permanenza nella Casa.  I bambini, una volta ragazzi, tornano a trovare gli operatori e i volontari. Chi per un saluto, chi come tirocinante e chi diventa lui stesso un volontario. La Dottoressa Marcucci ci confida che «c’è anche chi torna con il fidanzato e anzi, una nostra ex ospite ce ne ha già presentati due. Loro tornano, magari per un controllo, ma avendo passato una parte di vita qui, sentono questo posto come una seconda casa. D’altronde i fidanzati si portano a far conoscere alla famiglia, no? Ci sono poi quelli che promuovono iniziative nelle piazze e nelle scuole per raccogliere i fondi. E lo fanno di loro spontanea volontà. È vero anche che alcune famiglie, finito il periodo di permanenza non tornano più. Ma la maggior parte continuano a coinvolgerci nel loro futuro». Come nelle occasioni importanti conclude Daniela «quando nasce un fratellino o una sorellina, quando ci sono celebrazioni come le cresime, i genitori tornano e vogliono festeggiare con noi.»

Per saperne di più

La Casa Trenta Ore di Pescara è una delle strutture finanziate dal Progetto Home. Il soggiorno nelle strutture delle Case Trenta Ore per la vita è totalmente gratuito. Presto verrà inaugurata una seconda struttura, sempre situata nei pressi dell’ospedale civile “Santo Spirito”.

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