L’entusiasmo contagioso dell’Ass. Bianca Garavaglia

Lorella Cuccarini e Franca Garavaglia

«La nostra ordinaria amministrazione è gestire la vita e la morte e lo facciamo sempre con lo sguardo rivolto in avanti. Infatti il mio motto è “sorridere sempre”, perché la vita deve continuare e i bambini devono stare bene». Dalle parole di Franca Garavaglia, vicepresidente dell’Associazione Bianca Garavaglia, si capisce chiaramente lo spirito che anima il lavoro dell’Associazione nata per ricordare sua figlia. Un impegno inaspettato, che però ha segnato tutti gli aspetti della vita di Franca e di suo marito, presidente dell’Associazione.

Ci racconta della sua esperienza personale con il tumore in età pediatrica?

L’esperienza mia e di mio marito parte con la malattia di nostra figlia Bianca, che è venuta a mancare nell’agosto del 1986. Io sono stata con lei per i sei mesi in cui è stata ricoverata e in quel tempo ho avuto occasione di fare caso a tutto quello che sarebbe potuto servire all’interno dell’ospedale; soprattutto per quanto riguarda la ricerca sui tumori dei bambini.

Come nasce l’Associazione Bianca Garavaglia?

Da subito dopo la scomparsa di mia figlia, volevamo fare qualcosa per i bambini che soffrono e i medici ci hanno consigliato di fare una donazione, come in genere facevano i genitori. Ma noi volevamo fare di più, volevamo fondare un’Associazione per ricordare la mia bambina e allo stesso tempo per aiutare la ricerca sui tumori pediatrici. Quindi abbiamo fatto alcune riunioni, anche con i medici che avevano curato mia figlia e che si sono messi a disposizione, e sono riuscita a mettere insieme tanti amici che ci hanno aiutato. E così, il 13 aprile 1987 è nata l’Associazione.

Come sono stati i primi tempi dell’Associazione?

All’inizio è stata un po’ dura e ricordo che mia mamma mi diceva: “Pensaci bene, prima di impegnarti in un progetto così grande”, perché sapeva che fondare un’Associazione era un grande impegno. In più c’erano le altre mie due bambine, che erano ancora piccole, e un’altra figlia in arrivo. Nonostante tutto io e mio marito eravamo assolutamente determinati a concentrare le nostre energie sui bambini malati e siamo andati avanti: mi piace scherzare sul fatto che le mie figlie sono cresciute mangiando “pane e associazione”, perché era un argomento di discussione anche a casa.

Quali sono stati i bisogni dei genitori che è riuscita a soddisfare?

Tra le tante iniziative su cui abbiamo lavorato, un pensiero particolare va all’assistenza psicologica, nella quale ci siamo impegnati fin da subito. Inizialmente i genitori erano seguiti da un’assistente sociale: noi ci siamo battuti per avere in ospedale uno psicologo che fosse anche un medico, perché potesse comprendere le condizioni dei genitori e dei bambini e dire la sua opinione anche dal punto di vista medico. Da circa un paio d’anni, lo psicologo è entrato a far parte dell’organico dell’ospedale e questa è una vittoria per tutti noi, della quale siamo molto soddisfatti.

Di quale risultato è più orgogliosa?

Sono orgogliosa di ogni singolo risultato, anche se ci sono alcuni che sono particolarmente significativi: il sostegno psicologico in primis, ma anche l’impegno per far curare nel reparto pediatrico gli adolescenti con tumore. E, sempre nell’ottica del supporto agli adolescenti, abbiamo creato una serie di strutture: una palestra attrezzata, un’aula studio con i computer, uno spazio di ricreazione dove suonare, dipingere o incontrarsi con gli amici.

Quando ha cominciato si aspettava questi successi?

Più che altro ci speravo! È stato un percorso lungo, inizialmente sono riuscita a coinvolgere persone amiche, poi piano piano ci siamo ingranditi. È stata per me una gioia quando le mie figlie, che inizialmente si erano tenute in po’ più in disparte, sono venute a dare una mano, portando anche tanti cambiamenti. E oggi sono anche più svelte di me!

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